Alle porte di Milano c’è Rogoredo, un area da anni discussa e conosciuta per essere una delle piazze di spaccio più frequentate d’Europa. Un spazio al margine della società che vive una sua quotidianità con persone inghiottite nell’anonimato del posto tra droga ed indigenza scompaiono ai nostri occhi. Un tempo il “boschetto“ attirava, come oltre mille persone al giorno da tutta la Lombardia. Ma oggi, a distanza di tempo dall’operazione che ha smantellato la più grande piazza di spaccio del Nord Italia, i tossicodipendenti a Rogoredo sono tornati. Sono i “fantasmi” che popolano le nuove aree di spaccio, per raggiungere i pusher, a decine scavalcano le staccionate e rischiano la vita trovandosi accanto ai treni dell’Alta velocità. Li da tempo si muovono i volontari del Team Rogoredo di Simone Feder con altre associazioni, preti e suore, provvedono a fornire agli abitanti del boschetto e dell’area circostante, generi di prima necessità, a volte cibo, a volte coperte, salviette o generi di conforto. O ancora ritagliandosi tempo per incontrarli e parlare con loro. Alessandro Didoni, è un fotografo di Milano, da un po’ di tempo visita Rogoredo con un cavalletto ed un fondale e scatta foto, diremmo meglio fa ritratti a queste persone. L’ho incontrato e con lui ho parlato della sua esperienza e del suo progetto.
D. – Da cosa nasce la tua passione per la fotografia?
R. – Dopo il liceo ho frequentato l’Istituto Europeo di Design perché amavo la fotografia e direi che lì ho capito che questa scelta poteva portarmi ad un percorso importante. Così ho continuato, faccio il fotografo, mi piace fare il ritrattista, e la fotografia mi ha guidato nell’esperienza vissuta a Rogoredo.
D. – Cosa ti ha spinto a Rogoredo?
R. – Rogoredo mi ha incuriosito perché nei servizi tramessi dalle tivù ci si limitava a commentare lo spazio ed il consumo della droga. Le persone erano oscurate ed il racconto lasciava spazio ai numeri. Ho avuto l’idea, che era anche un’ esigenza da fotografo, di andare a conoscere chi erano queste persone ed usando, appunto la fotografia, senza esigenze di reportages come accade ai più che vanno lì. Non cercavo la foto ad effetto, ma il ritratto, cercavo la persona, il volto ed il lato umano della persona. E così tutti i mercoledì sera sono lì, scatto foto, scambio alcune parole, dialogo con chi è lì.
D. – La fotografia ti ha aiutato ad approfondire le relazioni con le persone che hai incontrato?
R. – La foto coglie l’espressione del volto e fatta a queste persone è decisamente semplice. Le persone che vengono in studio nascondono spesso un normale imbarazzo per la foto. Quando la sera fotografo le persone dell’area faccio lo scatto in pochi minuti, in loro non c’è l’imbarazzo non c’è la vergogna. Ed i loro sguardi sono genuini, profondi e raccontano tanto.
D. – Di cosa si occupano i volontari che visitano l’area?
R. – Tutti aiutano. C’è il Team Rogoredo di Simone Feder formato da molte persone, i volontari, le associazioni, alcune realtà religiose ed alcuni sacerdoti di cui uno ha una che in una comunità di recupero in Trentino, ed una suora. Tra gli altri c’è il titolare di alcuni McDonald’s dell’hinterland che ogni settimana porta lì dei panini. A Rogoredo arrivano aiuti di qualsiasi tipo: dai vestiti, alle scarpe, oppure anche beni di necessità come i deodoranti, il sapone e le salviette per l’intimo per le ragazze, perché molti sono senzatetto e molti ormai vivono lì con le esigenze pratiche di tutti i giorni.
D. – Credo che durante le tue visite a Rogoredo tu abbia incontrato molte persone. Riesci a tracciare un profilo del frequentatore di quella realtà?
R.- Purtroppo ho trovato tanta gente, diversa per livello culturale e sociale: il ragazzo o la ragazza, l’uomo di mezza età, la coppia o la persona ultra sessantenne. Tutti accomunati dalla dipendenza e da una quotidianità monotona ed uguale. Con loro capita di parlare senza vincoli. Una battuta, una chiacchierata, le barriere cadono e si parla non importa se uno è tossico o volontario. E questo è un aspetto che mi piace. E’ così che ho conosciuto gente diversa con storie interessanti, e nonostante io non sia una persona troppo socievole Un mondo sconosciuto.
D – Com’è oggi la situazione a Rogoredo?
R. – Il boschetto è stato in parte bonificato. Lo spaccio si svolge però sempre e poco più in là e lo smercio non si fa più alla collinetta e lunga la spianata, ma tra i binari verso San Donato. E li come dicevo vivono persone senza tetto, in tende, o sacchi a pelo con soluzioni davvero di fortuna.
D. – Questo tuo lavoro sarà un libro?
R. – Un libro ? L’ho già proposto per ora ad una casa editrice ma non mi ha ancora detto nulla. Parlerei piuttosto di un progetto che comunque ha avuto un buon riscontro e direi stia andando avanti. Ad oggi con settanta ritratti ed io potrei anche fermarmi, scrivere i testi e chiuderlo. In realtà il progetto è ancora aperto e mi piace pensarlo così…”
Alessandro torna spesso a Rogoredo, in appoggio ai volontari che vivono quotidianamente una realtà che immaginiamo lontana ma che in fondo non lo é. E questo dovrebbe spingerci ad una riflessione su come gestire le emergenze della nostra quotidianità come quella della tossico dipendenza e dei centri di spaccio che deve essere affrontata oggi con la massima urgenza.