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Alessandro: dall’ordinazione alla (falsa) accusa di pedofilia sino alla riconquistata normalità

19/12/2024 | Abusi e mondo clericale

di Alessandro Claudio Giordano

Alessandro Pasquinelli oggi conduce una vita normale. E’ sposato ed ha tre figli, Ma è stato prete. Ha lasciato l’abito anni fa dopo aver superato un momento di grave difficoltà in cui è stato ingiustamente accusato di pedofilia. Ordinato sacerdote, aprì una Casa di accoglienza per ragazzi, venne accusato e, suo malgrado, firmò un foglio in bianco, che avrebbe dovuto essere una procura per un avvocato invece di una dichiarazione in bianco per il patteggiamento. A distanza di anni, provata la sua estraneità, ne ha parlato ricordandone il percorso, le difficoltà, i momenti ed oggi una nuova vita con una quotidianità normale.

D. – Tu hai vissuto un’esperienza tragica. Oggi a distanza di tempo credi potesse andare in modo diverso ? O meglio avresti potuto non firmare quel foglio in bianco?
R. – Sicuramente oggi sarebbe andata in modo totalmente diverso. Oggi ho acquisito una maturità diversa rispetto a quella che avevo allora. La famiglia, la genitorialità ed il mondo del lavoro e mi hanno consentito di raggiungere una maturità umana diversa e maggiore rispetto ad a quella che uno vive quando è all’interno di quella struttura. Questo detto a posteriori, ricordando che è semplice da comprendere per chi ha ricoperto un ruolo come il mio all’interno della Chiesa. Quando si è “dentro” muoversi liberamente, facendo appello alla libertà di coscienza, è impossibile perché il condizionamento è forte. Certo che la firma sul foglio il bianco non l’avrei messa.
D. – Nel contesto della Chiesa la libertà di coscienza è ancora vincolata al filtro imposto dai superiori?
R. – Oggi riesco a prendere le mie decisioni per conto mio. Riesco ad affrontare la vita come meglio ritengo più opportuno. E questo all’interno della Chiesa non è assolutamente possibile perché il legame i con i superiori, l’obbedienza che a loro si deve ed il dover fare sempre quello che loro vogliono rappresenta un passaggio obbligato per tutti coloro che vivono quella realtà.
Direi che c’è superiore e superiore e non tutti sono uguali. E non tutti assomigliano ai miei. Il problema generale è legato al fatto che quando cadi male, le cose vanno poi come vogliono loro. Ed io ho avuto sfortuna di essere caduto in mani non adeguate, non sicure e non mature. Così io ricordo i miei superiori più spaventati di me di quell’accusa. Nel mio caso una realtà relativamente piccola come la mia avrebbe dovuto affrontare anche altre situazioni simili alla mia, di qui la confusione e la sorpresa. Di qui la prevalenza della violenza psicologica che subentra e che compensa un pò la paura che hanno nel muoversi.
Il tema della coscienza che di tanto in tanto salta fuori nel contesto della Chiesa e fa tanto moda, ma è solo una bellissima teoria della quale si è parlato anche durante il Concilio. Purtroppo il primato della coscienza della persona viene meno nel momento stesso in cui un superiore o dei superiori ti dicono tu devi fare cosa vogliono loro, altrimenti sei fuori.

D. – Nella Chiesa si utilizza spesso la metafora della famiglia: padre, madre, figli, fratelli, sorelle. In una forma corretta?
R. – E’ un errore. Spesso sentiamo che Chiesa è madre, il vescovo è padre il superiore è un padre ed i preti sono fratelli fra di loro e le suore sorelle. Questa gente non sa assolutamente che cosa significhi avere una famiglia. Io oggi ho una famiglia. Ho tre figli e so che cosa significa. So cosa c’è in una famiglia. Loro non lo sanno e non ne ha la più pallida idea. Se io penso al rapporto con i miei figli e se ad uno dei miei figli succedesse quello che è successo a me io sarei andato da lui e gli avrei detto “senti dimmi che cosa hai fatto perché sei colpevole ti devo aiutare in un modo se, sei innocente ti devo aiutare in un altro. Io sono tuo padre tu mi devi metti mettere in condizione di poterti aiutare.” Questo loro non lo fanno perché a loro non interessa la paternità e semplicemente perché non la vivono. E la paternità nella Chiesa non esiste.

D. – Tu hai fatto parte dell’Opus Dei. Come è l’atteggiamento dell’Opera nei confronti dei suoi aderenti in tema di libertà e confronto? E di fronte ai tuoi problemi come si è comportata?
R. – L’Opera è una struttura che non consente confronto se non accettazione. Nulla è in discussione. Il sacerdote diocesano ha la possibilità se vuole se, se la sente, e se il superiore glielo permette di dare un’opinione magari diversa su un aspetto organizzativo o di gestione della parrocchia o nella diocesi. Nell’Opera questo non è assolutamente possibile. L’Opera è più importante della persona. La verità non interessa a nessuno e la giustizia meno che mai. E’ la struttura dell’opera che ha rilevanza su tutto e deve essere preservata. Nei miei confronti si è sfilata via. Non si è occupata più dei miei problemi e di me.

D. – Che cosa ti aveva spinto nel creare quella Casa?
R. – L’entusiasmo. Ho creato quella Casa perché credevo in quel progetto. Per me era importante

D. – Puoi raccontarmi cosa è accaduto?
R. – Le due persone che mi hanno inizialmente affiancato sono state quelle che hanno provocato forse i maggiori danni alla situazione. L’accusa nei miei confronti coinvolgeva il minore più grande della struttura che sarebbe stato da me violentato. Quell’ipotesi di violenza era stata rilevata dal responsabile della Casa che vedendo il minore camminare a gambe larghe aveva pensato fosse stato violentato. La notizia od il sospetto di una violenza su minore imporrebbe la comunicazione alla magistratura oppure un esposto o il rivolgersi ai servizi sociali al quale tra l’altro il minore era affidato. Non fu fatto nulla di tutto questo. L’unica cosa che fecero fu di portare questo bimbetto a fare una visita nel reparto di pediatria.
Venne refertata come una ragade anale che ha una vita di una quindicina di giorni o può essere riconducibile ad un fecaloma. Tutto qui. Ed io avevo visto per l’ultima volta quel ragazzino durante una messa con altre cinquanta persone otto mesi prima. Durante le indagini una delle due fu costretta alle dimissioni ed il Tribunale intervenuto fugò tutti i dubbi su quell’ipotesi di violenza. Serviva allora un altro minore per confermare i dubbi sulla mia sessualità.
Quindi cercarono di convincere la cuoca della struttura a testimoniare contro di me, vittima di “toccatine” questa volta il figlio. La cuoca perché? Semplicemente era in scadenza di contratto e se non avesse seguito le “indicazioni” non avrebbe avuto il rinnovo. E di questo c’è una registrazione. Io avventatamente ho firmato un foglio in bianco che mi era stato presentato come la procura per un avvocato ed in realtà era il semplice patteggiamento. Così sii sarebbe sbrigato il caso.

D. – Sessualità e Chiesa. Che cosa non immaginiamo?
R.- Il tema della sessualità è tabù all’interno della Chiesa e questo tabù è poi diventato un problema reale e concreto. Ricordo quando iniziai a confessare dopo tanti anni di seminario quindi con un isolamento vissuto in un certo tipo rispetto al mondo. Le prime volte che confessavo c’erano alcune signore che mi raccontavano dell’atto sessuale col marito. E questo mi portò un giorno ad andare dal parroco più anziano per chiedergli come si spiegava questa confessione e dove fosse il peccato, dove si percepisse. Questo episodio fa pensare a quanti danni abbia fatto la Chiesa sulla vita sessuale delle persone cioè la sessualità vissuta solo per procreare, calpestando le esigenze della natura umana. Il mondo è molto più vasto della sessualità e la Chiesa è dimensionata su una realtà non più attuale.

D. – Omosessualità e Chiesa. Un problema importante?
R. Il rapporto tra omosessualità e Chiesa rappresenta una costante anche se taciuta. Evidente e conosciuta da chi vive nei palazzi, nei seminari delle strutture ecclesiastiche. Molti sono coinvolti e spesso il rapporto di sudditanza con i superiori fa tacere le supposizioni, ma le chiacchiere ci sono.
Ho insegnato in una facoltà pentecostale per un certo periodo di tempo Ad un certo punto ho smesso Ricordo che un giorno un mio alunno mi chiese se mi risultava che fosse possibile guarire dall’omosessualità. Io mi girai verso questo ragazzo che aveva vent’anni, e gli dissi “scusa ma non mi risulta che l’omosessualità sia una malattia”. Mentre ero lì intervenne subito un altro collega che era al pentecostale e mi disse “No questo non glielo puoi dire. “Scusa e perché non glielo posso dire?” “Perché noi qui non siamo a favore non consideriamo l’omosessualità un orientamento sessuale”. Ma allora io in quel momento a me stesso dissi che non avrei mai accettato che qualcuno mi fosse venuto a dire cosa avrei dovuto pensare. E non avrei mai accettato che qualcuno venisse a dire tu la devi pensare così perché la struttura la pensa così. E questo è il limite della Chiesa.
D. – Sulla base della esperienza c’ è davvero la volontà da parte delle istituzioni ecclesiastiche di intervenire sul tema della pedofilia considerando che tacere è complicità?
R. – La pedofilia nella Chiesa è un problema e l’attuale Papa ha scelto una linea dura. Il prete pedofilo è vero che commette un reato gravissimo e per questo è una persona che va messa in condizione di non nuocere più, però il Papa non si deve dimenticare una cosa fondamentale, che quello è sempre un suo figlio che se ha dei problemi non basta buttarlo fuori dalla Chiesa, chiuderlo in una struttura, monastero o cosa s’altro, ma lo accompagnato ed aiutato.

D. – Come si si sono relazionati i tuoi superiori con te?
R. –Quando dicevo che ne volevo parlare mi arrivavano lettere e mi rimproveravano “hai parlato troppo” oppure “non devi parlare” o “devi stare zitto questo ti mette nella condizione di andare incontro a un provvedimento disciplinare”.

D. – Sembrerebbe che tutto fosse contro di te. Quindi sei stato ostacolato nel tuo percorso?
R. – Direi che gli scontri ed i disaccordi precedenti hanno contribuito a creare il caso. C’erano state frizioni in alcuni frangenti e credo di aver ricordato loro qualche volte cosa io sapessi e non avevo mai detto. Così nello specifico le due assistenti muovendosi in quel modo hanno servito su un piatto d’argento la possibilità ai miei superiori di potermi fare fuori E così è stato.

D. – Tu oggi vivi la tua quotidianità felicemente…
R. – Certamente. Come detto ho una famiglia, un lavoro e tanta serenità ed ho riconquistato una libertà che mi consente di vivere positivamente la vita.