di Alessandro Claudio Giordano
Tempi difficili per la vecchia Europa che parrebbe schiacciata tra la crisi economica e la guerra in Ucraina. Politicamente in affanno su uno scacchiere internazionale di precaria stabilità, si ritrova a fare i conti con un populismo che percorre molti paesi dell‘Unione e la difficoltà di fare dialogare realtà territorialmente disomogenee. Ne abbiamo parlato con il prof. Sergio Pistone, già ordinario di Storia dell’Integrazione Europea presso la facoltà di Scienze politiche di Torino.
D. - Oggi quanto è ancora attuale l’insegnamento di Altiero Spinelli?
R. - Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi elaborarono il Manifesto nel lontano 1941 in una situazione di estrema emergenza. Costretti al confino sull’Isola di Ventotene per la loro opposizione al regime fascista, idearono un progetto per un’Europa unita, capace di superare i conflitti che avevano condotto alle due guerre mondiali. Tutto questo doveva per forza di cose avvenire dal basso coinvolgendo un movimento apartitico e trasversale. Sono passati più di ottant’anni, da allora e con rammarico siamo ancora qui a parlare di un’ipotesi europea, di istituzioni che lavorano ad autonomia parziale. La strada è ancora molto lunga, vedremo…
D. - L’integrazione politica è qualcosa di concreto oppure rientra in una possibilità remota?
R. - Oggi ci troviamo di fronte a sfide essenziali. La politica europea deve tener conto di molti aspetti che sono parte del nostro quotidiano. Capire e rimodulare un intervento sostanziale su ambiente, digitalizzazione, disparità economico sociale in Europa. Per questo servirebbe un nucleo d’avanguardia nel contesto delle istituzioni europee che per intanto monitorizzi e stabilisca delle priorità proprio partendo da quelle sfide di cui accennavo prima. Le crisi di carattere politico ai confini dell’Europa (leggi guerra in Ucraina) e la Brexit non hanno aiutato le istituzioni europee e ne abbiamo sotto gli occhi i risultati.
D. - In quest’ultimo periodo ler forti critiche all’Europa non aiutano…
R. - Oggi molti paesi in Europa cercano di rispondere alla crisi economica e politica ripiegando su un nazionalismo, a volte rivisitato in chiave protezionistica povero però da un punto di vista di iniziativa. Questo, piaccia o no, è un concetto sbagliato. Tutti dobbiamo uniformarci all’Europa e questa è l’unica strada per uscire dal tunnel e ripartire.
D. - Alla luce delle posizioni mantenute dai paesi dell’est Europa come Ungheria e Polonia. Quanto è in pericolo il soggetto Europa?
R. - Essere in Europa implica necessariamente il rispetto delle regole condivise. Oggi l’Unione è cresciuta e questo implicala possibilità di affrontare difficoltà nel gestire progetti importanti. Al di là di possibili frizioni o contrasti è bene ricordare che se la Polonia, l’Ungheria o altri paesi ad esempio, non rispetteranno queste regole, dovranno affrontare le decisioni di Bruxelles che giustamente dovrà intervenire per sanzionare comportamenti che sono fuori dai regolamenti comunitari.
D. - L’Europa è percorsa da crisi politiche e di guerra, che prospettive può avere questa Europa?
R. - Quella in Ucraina è una guerra difficile che ha scoperto i nervi ad una realtà quella caucasica percorsa da grande instabilità politica. Qualcuno ha parlato di un ritorno ad una sorta di imperialismo russo. La Russia però è una è una potenza povera in grave crisi economica, con un’aspettativa di vita sui settant’anni anni. Queste premesse possono giustificare la spinta nazionalistica. Ovvio che chiunque auspichi la fine della guerra in Ucraina. L’Europa ha scelto di appoggiare Zelensky? Bene. Lo faccia senza umiliare la Russia che per certi versi, finita la guerra, dovrà essere a sua volta aiutata dal momento che versa in una situazione economicamente drammatica.
D.- Quale ruolo può avere l’Europa nella crisi ucraina?
R. - L’Ucraina non è così lontana dall’Europa. Oggi servono delle istituzioni europee forti e capaci nella mediazione perché è lì che dovremmo arrivare. Mediare un accordo di compromesso tra le forze in campo per poi pensare ad una sorta di piano Marshall per Ucraina e Russia. questo perché l’Europa non potrà rinunciare a priori a tutta o una parte della regione caucasica e della Russia.
D. - Finirà la guerra?
R. - Mi auspico di sì. Una soluzione diversa deve essere trovata. Ne va del nostro futuro quindi attenzione perché sarà importante ragionare della nostra Europa tra dieci o venti anni. Questo è il metro per capire nell’immediatezza come intervenire evitando la devastazione politica, economica e sociale di un territorio.
Sergio Pisrtone gìà Prof. Ordinario in Storia dell’Integrazione Europea dell’Università di Torino e membro del Consiglio Nazionale Movimento Federalista Europeo.